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mercoledì 26 settembre 2012

La felicità...

La felicità è nella gioia delle piccole cose, in una risata tra amici, un bicchierino di limoncello, una sigaretta condivisa chiacchierando.
A volte la si cerca in chissà quali lontane avventure, nel lavoro, nell'affermazione economica, nel possesso di ogni tipo di ricchezza materiale, o in grandi storie d'amore...e invece lei è là che ti aspetta dietro l'angolo, travestita da vita normale, di tutti i giorni, ma con quel pizzico di sapore in più che si riesce a cogliere solo quando si è in buona compagnia.
La felicità è una pietanza che va condivisa per poterla gustare davvero, come un cous cous mangiato insieme dallo stesso piatto, con le mani.
La felicità segue una strana regola matematica: si moltiplica quando la dividi in due, è un'attitudine, e solo alcune persone sono in grado di farcene ricordare, di risvegliarla da un lungo sonno.
Quelle persone con le quali  non smetteresti mai di parlare, di giocare, di ridere e di piangere insieme, quelle che ti fanno dimenticare lo scorrere del tempo, e che quando vanno via a volte vogliono avere l'ultima parola...
E anche in quel caso ti fanno sorridere dentro.


lunedì 24 settembre 2012

Il silenzio

Il silenzio mi struscia addosso come un vestito un pò ruvido.
Mi è stretto, scomodo, e non mi dona. Mi rimanda indietro le mie stesse parole con l'eco del pessimismo.

Di tutti i silenzi che conosco, amo solo quel silenzio vivo che puoi ascoltare in natura.
Si, quel silenzio mi piace. 

Il silenzio di una spiaggia d'inverno il cui unico rumore è quello dell'onda che si infrange sulla riva. 

Il silenzio di un parco o di un bosco, interrotto solo dal crepitare croccante delle foglie sotto le scarpe.

Il silenzio notturno che ti fa distinguere il rumore di un treno in lontananza che chissà dove porta il suo carico umano.  

O quel silenzio mattutino rotto solo dal gorgoglio del caffè che sale nel beccuccio della caffettiera, spargendo nell'aria il profumo del buongiorno, quando tutti ancora dormono, tutti tranne gli uccellini in giardino.

Quello è il silenzio che mi piace.
Un silenzio rumoroso, un silenzio in cui c'è comunque vita.

Odio invece quei silenzi in cui gli sguardi vagano imbarazzati in cerca di un argomento che non si trova più.
O quel silenzio carico di parole già dette, quando non resta più nulla da poter dire.
O quel silenzio che si lascia dietro una porta chiusa.
Odio anche quel silenzio che si agita in me e non trova voce.
Quella calma piatta dei giorni sempre uguali seppur diversi, in cui non sento il battito del cuore che sale in gola a soffocarmi piacevolmente.
Odio quell'interminabile silenzio che mi porta a voler sfregare tra le mani la mia vita come fosse una biro che non vuol scrivere più.

Resto ad ascoltarlo per un po', impaziente. Ma poi scoppio.

Ho sempre voglia di urlare quando il silenzio mi assale.
Ho voglia di aprire quella porta sbattuta e correre per strada, rincorrere chi è andato via e costringerlo a guardarmi negli occhi.
Ho voglia di rompere il silenzio prima che il silenzio rompa me, facendomi male.

Io non so stare in silenzio, seduta paziente ad aspettare che prima o poi il caffè venga su a dirmi che è un nuovo giorno...
Quando il silenzio scende su di me lasciatemi urlare. 

Lasciatemi cantare e strepitare come una matta da legare.

Lasciatemi correre in auto con i finestrini abbassati e il vento che mi strappa dai capelli la malinconia.

Lasciatemi essere me stessa.

Si, lasciatemi urlare.


sabato 22 settembre 2012

L'animo in pace...



[cit. Francesco Burdin]
[immagine di Scarabottolo]

Piccoli appunti rubati a pagine di facebook...


Si, è proprio così. Se hai l'animo in pace non hai nulla da scrivere.
Se le emozioni, belle o brutte che siano, non ti lacerano e ti avvolgono e ti stravolgono, se non ti tolgono il respiro, non troveranno mai la strada per uscire sotto forma di parole.

Quindi...se un giorno non dovessi più scrivere...almeno mi consolerò pensando che ho "l'animo in pace".

La frutta fa bene


"Ammetto la mia colpa...non mangio molta frutta.
Si, dottore, lo so che ne dovrei mangiare almeno tre porzioni al giorno, ma mi annoia stare lì a sbucciare, a tagliare, a sporcarmi le mani.
Cosa suggerisce?"



....Si, l'idea mi piace!

Un bacio al gusto di mela, ottimo modo per far mangiare frutta ai ragazzi, e anche ai non più ragazzi come me... :-)

martedì 18 settembre 2012

Dedicato a una persona speciale

Sto piangendo.
Sto piangendo di gioia e di nostalgia contemporaneamente.
Sto piangendo lacrime e sorrisi, mischiati come un fiume in piena, un fiume di montagna che scende impetuoso e porta con sé detriti e acqua limpida;
sto piangendo emozione e gratitudine, allegria e dolore, confusi tra loro come tutte le parole che non sono riuscita a dire, aggrovigliati tra le mani come tutte le carezze che non son riuscita a dare, liquidi come un sacro fiume d'Amore che lava via le colpe del cuore.

Ci sono momenti in cui si arriva "alla frutta"....
momenti in cui il sorriso si spegne, il volto si ingrigisce, i movimenti rallentano, i giorni scorrono tutti uguali e senza emozione, e ogni cosa che si fa perde senso; momenti in cui si pensa di non dover sperare più in niente, in cui non ti aspetti niente, non sogni più, non usi più la fantasia per volare alto, non desideri più nemmeno volare.
Ma improvvisa arriva una mano, una mano da lontano, una mano amica, che in un modo o in un altro ti fa arrivare una carezza e un sorriso, per non farti sentire sola.
E allora d'improvviso tutto si illumina, anche il cuore buio in cui si era spenta la luce un po' per volta.

C'è una sorta di alchimia tra me e questa persona speciale e, anche se siamo distanti, anche se la nostra amicizia è nata e vive solo in questo angolo nascosto al mondo, eppure esposto agli occhi di tutti, in questo piccolo, ristretto, limitato eppur infinito mondo virtuale, che mi segue in ogni momento grazie allo smartphone, che porto con me dovunque vada, in tasca come un fazzoletto, la sento vicina più che mai, anche quando restiamo in silenzio.

Mi sembra a volte di sentire il suo respiro accanto, quando a me manca il respiro, e a volte, al buio, mi sembra di vedere i suoi occhi guardarmi da lontano, quando non riesco a vedere oltre il mio naso.

Se il web è come un bosco in cui puoi trovare lupi cattivi e funghi velenosi, e se la tecnologia ha molti contro e pochi pro, almeno mi ha dato l'opportunità di conoscere ed apprezzare una persona meravigliosa, un fiore nella neve, che mi ha regalato sempre affetto sincero.

Ti voglio bene.

Ross




venerdì 14 settembre 2012

Le parole nel web

Scripta manent
Tutto ciò che è scritto lascia un segno permanente, sia in ambito legale, sia in ambito letterario, o anche in ambito personale. Le parole scritte hanno sempre avuto una forza maggiore di quelle soffiate al vento.
Non solo hanno maggiore forza, ma hanno anche vita più lunga, soprattutto perché non possono essere modificate o travisate passando di bocca in bocca.

Le lettere per secoli hanno rappresentato una forma di comunicazione molto importante, a volte anche l'unica; quando si scrive si ha modo di essere più esaustivi perché si ha modo di rileggere ciò che si è scritto ed eventualmente correggere, limare, smussare, per dare il giusto significato alle proprie parole, il giusto colore.
Ma oggi c'è una nuova forma di parola scritta, lo scritto nel web.
Ha ancora quel valore di "permanenza" dello scritto su carta?
Naturalmente non parlo di email, che una volta ricevute restano e lasciano traccia indelebile, ma di tutto ciò che si pubblica nei blog, nei social network, nei forum.
Mi sono posta questa domanda ogni volta che, nei luoghi virtuali che ho frequentato, qualche utente si è cancellato, cancellando in un sol colpo di spugna anche tutto quello che aveva scritto e pubblicato.

Ebbene, l'ho fatto anche io.

Ero iscritta ad un forum, quello nel quale ho iniziato per puro gioco a scrivere racconti erotici, poi trasferiti nel mio blog melarossadelpeccato, e qualche giorno fa, in un momento di sconforto in cui non sapevo più chi ero e cosa ci facevo in quel posto, ho deciso di cancellare tutto.
E' bastato un click e tutte le mie parole, milioni di parole, discussioni, racconti, messaggi, "amicizie", è sparita, naufragata nel grande mare del web, sparita tra i flutti.
E non mi manca.

Che valore avevano quelle parole se sono sparite come un sasso nell'acqua?
Eppure erano scritte...

Anche da qui potrei sparire in un lampo, anzi...in un click.
Potrei decidere un giorno di cancellare tutto, far sparire i blog, la casella email, tutti i riferimenti.
Cosa resterebbe?
Resterebbe solo un segno più o meno superficiale, più o meno profondo, in chi le ha lette e le ha fatte sue, alla stessa maniera delle parole sussurrate al vento.
Il web è come il mare, é immenso e bellissimo, a volte pericoloso, può essere fonte di grande conoscenza, luogo di informazione o di svago, ma può anche inghiottirti in un solo momento e farti sparire.
Scripta manent... solo finché lo vuoi tu


giovedì 13 settembre 2012

La solitudine

La solitudine mi divora, come un animale affamato si ciba di me, mi strappa le carni e mi succhia il cuore, rompe il silenzio con le lacrime, avvolge i miei giorni di grigio bagliore.
La solitudine è il mio malessere. Ciò che mi spegne il sorriso, che modifica il mio aspetto in peggio, che mi fa invecchiare di colpo.
La solitudine non è mancanza di compagnia....è la mancanza dell'unica persona che vorrei accanto, dell'unica voce che vorrei sentire in questo grande chiasso.


sabato 8 settembre 2012

Say a little prayer for you












The moment I wake up
Before I put on my makeup
I say a little pray for you
While combing my hair now,
And wondering what dress to wear now,
I say a little prayer for you

Forever, and ever, you'll stay in my heart
and I will love you
Forever, and ever, we never will part
Oh, how I love you
Together, forever, that's how it must be
To live without you
Would only meen heartbreak for me

I run for the bus, dear,
While riding I think of us, dear,
I say a little prayer for you
At work I just take time
And all through my coffee break-time,
I say a little prayer for you

Forever, and ever, you'll stay in my heart
and I will love you
Forever, and ever we never will part
Oh, how I'll love you
Together, forever, that's how it must be
To live without you
Would only mean heartbreak for me

I say a little prayer for you

I say a little prayer for you

My darling believe me, ( beleive me)
For me there is no one but you!
Please love me too (answer his pray)
And I'm in love with you (answer his pray)
Answer my prayer now babe (answer his pray)

Forever, and ever, you'll stay in my heart
and I will love you
Forever, and ever we never will part
Oh, how I'll love you
Together, forever, that's how it must be
To live without you
Would only mean heartbreak for me (oooooooooh)


Scene tratte dal film "Il matrimonio del mio migliore amico"

Quando una persona a cui tieni tanto si allontana da te in cerca della felicità, alla fine, sulla tristezza dell'abbandono, prevale sempre la volontà di vederlo felice. Alla fine...
Bello questo film, e stupenda la canzone...
I say a little prayer for you....oggi mi gira nella testa e non vuole uscirne.

Goodbye


La gattara

Mi chiamo Marisa, e sono la gattara del quartiere.
Tutti mi considerano una pazza perché mi vedono uscire in vestaglia e ciabatte, con i capelli come un cespuglio scolorito, o perché mi sentono parlare con i gatti come se fossero persone.
Ma loro non sanno....non possono capire.

Da quando il nostro unico figlio è morto di overdose, e da quando mio marito mi ha lasciata per fuggire chissà dove con una ragazza ucraina, i gatti mi hanno salvato dalla pazzia.
Ogni giorno la rabbia mi consumava dentro, mi toglieva il fiato, le forze.
E poi scoppiava improvvisa come un temporale.
Ogni giorno rompevo un pezzo della mia casa, della mia vita, urlando; non importava che fossero piatti, bicchieri, vasi. Dovevo rompere qualcosa, sentire lo stesso strappo, la stessa lacerazione, lo stesso insopportabile rumore che sentivo dentro la mia testa, anche fuori da me. Dovevo urlare il mio dolore.
Ho rotto anche tutti gli specchi, a dispetto delle scaramanzie più cretine.
Tanto i miei sette anni di sfiga li avevo già avuti.
I vicini di casa varie volte hanno chiamato il 118 per paura che potessi fargli del male, durante i miei accessi di ira. Sono stata legata ad un letto, sedata, privata di ogni dignità. Imbottita di psicofarmaci che mi facevano parlare come se avessi avuto un cucchiaio di colla in bocca.
Ma loro non sanno...non potevano capire.

Io rompevo tutto quello che mi circondava e che mi ricordava in qualche modo i miei errori.
Errori di madre innanzitutto, di madre incapace di proteggere mio figlio dalla droga.
Errori di moglie, per non essere stata capace di farmi amare per sempre da quel vigliacco...
Rompevo i ponti con il passato rompendo gli oggetti di cui ero circondata.
Combattevo con le voci che incessanti mi chiamavano, da dentro la mia testa, e mi deridevano, mi urlavano la mia pazzia. Vedevo ombre sui muri, sentivo spifferi improvvisi, e sentivo le voci dei morti darmi il tormento tutte le notti.

Uscita dall'ospedale per la seconda volta, mi sono promessa di non ricaderci più, e così mi sono chiusa nel mio mutismo.
Quando sentivo la rabbia salire improvvisa, uscivo di corsa da quella casa maledetta, anche in vestaglia e ciabatte.
Tanto non me ne fregava un cazzo del mio aspetto esteriore, non dovevo piacere a nessuno.
Seguivo solo l'urgenza di scappare e non rompere niente. Per non ritornare su quel letto d'ospedale, legata come un cane bastonato, addormentata nello spirito e nel corpo.

Ed è stato durante una delle mie fughe da casa che ho conosciuto i miei gatti.
Sono loro la mia famiglia ora, l'unica fonte di affetto sincero, l'unica compagnia nelle mie giornate solitarie. Loro non hanno paura di me.
Ogni mattina mi sentono arrivare da lontano e sbucano da ogni pertugio, da ogni anfratto, da sotto le auto parcheggiate, o dai giardini in cui si riparano, e mi corrono incontro.
C'è Cindy, la più anziana, che ho chiamato così per le sue adorabili scarpine di pelo bianche.
Il giorno in cui la trovai mi sembrò una piccola Cenerentola, tutta sporca, grigia, ma con quei piedini bianchi che sembravano scarpine di cristallo. Aveva paura inizialmente, ma aveva anche tanta fame, e il profumo del prosciutto nel panino che stavo mangiando, seduta su una panchina, le dette il coraggio di avvicinarsi quel tanto che bastava per chiedermi con gli occhi e qualche miagolio di poter avere anche lei un pezzo di quel che avevo tra le mani.
Da allora diventammo amiche, e credo che poi sia stata lei a dire in miagolese anche ai suoi altri amici che di me si potevano fidare.
E così il giorno seguente, quando andai di nuovo su quella panchina a rimuginare sulla mia vita, con lei arrivò anche Romeo, un bellissimo gatto rosso, dall'aria sfrontata e battagliera. Aveva varie ferite di guerra, un naso tutto graffiato, ma un'aria fiera e coraggiosa. Detti anche a lui parte del mio pranzo.

Mi sedevo lì e lasciavo che mi corteggiassero per avere un boccone...
E ogni giorno si ripeteva come un rito il nostro incontro.
Mi calmava accarezzare quei peli sporchi e ispidi.
Eravamo uguali, soli, abbandonati al nostro destino.
Oggi il nostro è più un incontro tra amici che uno tra gattara e gatti affamati.
Parliamo di tutto, loro mi mostrano sempre il loro affetto. E conosco il carattere di ognuno di loro.
Lì, sotto a quel muretto, c'è sempre Wudi, il gatto più fifone di tutti ma che ha un debole per i wurstel.
Per questo l'ho chiamato Wudi...
E poi ci sono anche tutti gli altri, Zeus, Moira, Tigre, Lalla, Nerina con tutti i suoi numerosi cuccioli.
Non sono mai riuscita a contarli tutti, ma saranno almeno una dozzina di gatti che ogni giorno parlano con me e mi ascoltano.
Loro si che mi ascoltano.
Hanno ascoltato buoni buoni tutta la mia vita, i miei sfoghi, e quando mi hanno vista piangere, mi hanno dato amore, mi hanno fatto le fusa.
Loro sentono i miei stati d'animo.
Si accoccolano vicino ai miei piedi, qualcuno più ardito sale sulla panchina e si struscia al mio braccio per farmi capire che mi vuole bene.
Perché non è vero che i gatti non amano nessuno. Loro sanno essere più fedeli di un cane. Più fedeli di un uomo.
Quando Nerina ha avuto la sua ultima cucciolata con Romeo, lui è cambiato. Da gatto sfrontato e battagliero si è trasformato in premuroso papà. Quando lei era nella cuccia che le avevo preparato nell'angolo più riparato del giardino, fatta con un bel cartone con dentro una copertina di pile, lui le faceva la guardia, le strofinava il muso sul suo, come per baciarla, e quando lei si allontanava un attimo per andare a mangiare, lui restava lì e faceva attenzione che i cuccioli non uscissero dalla improvvisata cuccia.
Tutti rispettano le regole gerarchiche e nessuno si permette di mangiare prima che abbia iniziato a scegliere Cindy. E' lei quella che comanda. E' lei quella che per prima si è fidata di me, che si è messa in gioco per un pezzo di prosciutto. Ed è lei che sceglie se gli altri possono o non possono mangiare.
Quando torno verso casa, i più coccoloni, in genere i cuccioli, mi seguono sempre fino al portone. A volte rischio anche di cadere inciampando nelle loro zampe. Vogliono sentire il contatto con il mio corpo fino all'ultimo istante. Camminano a zigzag tra i miei piedi, strusciandosi e cercando di mantenere il passo.

Non ne ho mai portato uno a casa, anche se per qualche istante ci ho pensato, ma poi la consapevolezza che la mia casa sarebbe stata una prigione anche per loro mi ha fatto cambiare idea.
Così ora sono sempre io che vado da loro, lascio che siano loro ad accogliere me.
Sono gattara da diversi anni ormai, si, ma sono i gatti che si sono presi cura di me, non il contrario.
Mi chiamo Marisa, e con i gatti non sono più una donna sola.



venerdì 7 settembre 2012

C'è il sole

Stamattina mi sono svegliata allegra!
Finalmente dopo giorni di improvviso autunno è ritornato a splendere il sole e, per una meteoropatica come me, è una benedizione!
Questa mia constatazione "c'è il sole", appena ho aperto gli occhi davanti al primo caffè del mattino,  mi ha fatto tornare alla mente una canzone che canticchiavo anni fa, quando nello stereo della mia macchina, che andava ancora a cassette, ne avevo sempre inserita una di Eduardo De Crescenzo.
Conosciuto da sempre grazie ad  una sua canzone, entrata di prepotenza nella storia della musica italiana, "Ancora", e anche se è da qualche anno che non scrive più tanto, sparito ormai dalle luci della ribalta, pur continuando a vivere di musica e parole, verrà ricordato per le sue indimenticabili parole d'amore e rimane uno dei miei autori preferiti.
Forse è anche il fatto che abbiamo la stessa terra soleggiata a fare da sfondo alle nostre vite che me lo fa sentire molto vicino, o forse è perché non si è mai fatto fagocitare dal mercato, non si è piegato al potere del denaro, ma le sue parole mi hanno sempre provocato belle emozioni.
" ... la mia musica nasce lontano dai riflettori, perché le mie canzoni sono le persone che incontro ogni giorno: a volte sono sole, a volte innamorate, a volte in difficoltà, a volte impegnate a dare un senso al proprio cammino... . Se mi allontano troppo da loro non riesco più a sentire la mia musica". 
dal sito ufficiale di Eduardo http://www.eduardodecrescenzo.it

Oggi voglio condividere con voi questo mio amore, riportando i testi e i video da youtube di due delle sue canzoni che amo maggiormente, ma potrei proporvene tante. Sono tutte stupende.

C'è il sole

C'è il sole nei giardini di parole
che raccontano di me
quando ancora bambino
incominciavo ad andare
C'è il sole tra le tende colorate
e la frutta che era li
affacciata all' estate
e alla mia allegria. C'è il sole...
E nel ricordo dell'inverno
delle corse alla scuola
con il cuore in gola
sempre un po' in ritardo
Io che restavo li per ore a sognare
e a imparare quanto basta
per avere mal di testa
C'è il sole, forse proprio come allora
nei colori che tu accendi
quando appari improvvisa
e mi racconti l'amore
C'è il sole, nella mia malinconia
nel silenzio della stanza
nella luce distante
del sole quando tramonta
E nelle facce della gente
e nelle strade c'è il sole
che mi stringe il cuore
come mi stringevi tu
e mi ricordo un po' di te
Perché il sole, è un amore che continua
anche quando non c'è più
C'è il sole nei giardini di parole
che raccontano di me
quando ancora bambino
incominciavo ad andare
C'è il sole, forse proprio come allora
quando al sole del mattino
tu apparivi improvvisa
e mi parlavi d'amore. C'è il sole...
Ed il sole non lo sa, che poi nel gioco del tempo
E dei sogni, nel gioco dei ricordi, negli amori assenti c'è il sole… 




L'odore del mare
Se penso al mondo come a un' armonia
tutto è giusto sia così
Se ogni strada è la strada mia
e il mio posto è stare qui
L'odore del mare mi calmerà
la mia rabbia diventerà
amore, amore è l'unica per me
né dare né avere, la vita va da sé
né bene né male, intorno a me non c'è
né luna ne sole, è tutto nel mio cuore
tutto questo cercare che amore poi diventerà…
L'odore del mare mi calmerà,
la mia rabbia diventerà
amore, amore e mi sorriderà
un giorno normale illuminerà
né falso né vero, intorno a me non c'è
né bianco né nero, è tutto nel mio cuore
e tutto questo cambiare che amore poi diventerà.
Penso a quanta gente c'è, quante stelle di città
che in questo istante proprio come me
vivono l'immensità.
L'odore del mare mi calmerà,
la mia rabbia diventerà
amore, amore è l'unica per me
né avere né dare, la vita va' da se
né falso né vero intorno a me non c'è
né terra né cielo, è tutto nel mio cuore
e tutto questo girare che amore poi diventerà



mercoledì 5 settembre 2012

Un piccolo angolo di paradiso


Aveva vissuto tutta la sua vita correndo su e giù, a destra e a manca, inseguendo un miraggio chiamato "carriera". Si affannava, si immergeva nel lavoro, dava a piene mani tutto il suo impegno, tutto il suo tempo nei progetti che seguiva, e dimenticava una cosa importantissima: Vivere.
La sua vita era scandita esclusivamente dagli impegni lavorativi, intervallati da qualche aperitivo, qualche incontro di lavoro a cena, qualche viaggio di lavoro o di piacere. E basta.
Non era felice.
Per quanto facesse, per quanto lavorasse, per quanto accumulasse denaro, non era felice.
Non c'era un solo giorno in cui il sole baciasse un suo sorriso.

Un giorno ebbe finalmente un' illuminazione: improvvisamente realizzò che la bellezza della Vita non era possedere tanti soldi, poter comprare oggetti costosi e abiti importanti, o fare viaggi sempre tutti uguali in posti alla moda, con persone alla moda, tutti con lo stesso bicchiere stretto tra le mani, la stessa musica martellante nelle orecchie, lo stesso giro di locali notturni in auto alla moda, e capì che non era quello stile di vita che avrebbe regalato la vera gioia ai suoi giorni.
Così dette una svolta decisiva e improvvisa a tutto ciò che rappresentava le sue giornate e le sue scelte.

Decise di ritornare alla madre Terra, abbandonò tutto, casa, lavoro, "amici", colleghi, e si rifugiò in un piccolo paradiso terrestre, un angolo verde nascosto tra i monti, davanti ad uno specchio d'acqua ancor più verde.
In quel piccolo paradiso sperduto, dimenticato da Dio e dagli uomini, raggiungibile solo dopo un lungo tragitto a piedi, c'era una piccola baita, una casetta tutta in legno come quelle disegnate nei libri illustrati di fiabe.
Se ne innamorò a prima vista, la sentì sua così come quando si ha l'improvvisa sensazione di essere già stati in un posto in un'altra vita.
E decise che quello sarebbe stato il suo piccolo posto nel mondo, e che lì avrebbe trovato la Gioia e la felicità vera.
Portò con sé solo qualche abito comodo in una valigia neanche troppo grande, abbandonando tutti i suoi tanti averi nella bella casa di città, e il gatto rosso, che ormai era diventato come una persona di famiglia.

Era sul finire dell'estate quando vi si trasferì...L'aria frizzante e fresca entrava nei suoi polmoni, abituati allo smog della grande città, come un balsamo, e il canto del silenzio era rotto solo dal lieve fruscio del vento tra l'erba, e della eco degli uccelli rapaci che volavano alti.
I profumi della terra erano inebrianti. Il cielo immenso. I colori vividi. Talmente vividi che riempivano immediatamente gli occhi di lacrime di commozione.

Il primo mattino nella sua nuova casa uscì in giardino, si mise a piedi scalzi sull'erba, con il gatto che gli si strusciava alle gambe, e si immerse in quella grandezza divina che si stendeva davanti ai suoi occhi.

Aveva allestito un piccolo orto nel giardino antistante la casa, che gli avrebbe regalato il minimo indispensabile per vivere, e aveva fatto anche un po' di provviste per affrontare i lunghi periodi di solitudine.
Al mattino, andava sulla riva del lago e pescava con una semplice lenza ciò che poteva.

Quando il pastore saliva fin lassù per portare le sue capre a pascolare, gli offriva sempre del latte fresco appena munto o gli portava dei formaggi e dei salumi.

Tutto era finalmente perfetto.
In quel silenzio riusciva a sentire la sua anima parlargli, e finalmente quando il sole del mattino arrivava a baciare quel piccolo angolo di paradiso, riusciva ad accoglierlo con un sorriso.
In quel posto, in quel silenzio, in quell'abbandono alla grandezza divina, aveva scoperto la sua voce.

Ma infine venne l'inverno.....



E l'inverno, si sa, sa essere duro come la pietra.
Il lago ghiacciò, la terra scolorì rubando i dorati colori dell'autunno, il sole iniziò a spuntare sempre più raramente tra le nuvole, e il vecchio pastore non venne più a rallegrare le sue giornate con il concerto di campanacci e i profumi di latte e formaggi ed erba masticata.
I colori. Dov'erano finiti i colori vividi e brillanti che gli riempivano gli occhi di lacrime di gioia?
Sciolti in un mare di bianco e di grigio.

Improvvisamente tutto quel silenzio iniziò a diventare pesante come un macigno.
Silenzio e bianco, solitudine e sensazione di abbandono, e tutta quella grandezza divina che fino a qualche mese prima gli era sembrata un dono, improvvisamente gli sembrarono una condanna.

Col passare dei giorni il rumore della pioggia sul tetto, o il silenzio spettrale della neve sulle finestre, iniziarono a spegnere il sorriso tanto cercato che neanche il crepitio del fuoco nel camino riusciva a scaldare, così il malessere riprese il sopravvento nelle sue giornate, sempre troppo buie e solitarie.

Era un mattino di quasi Natale quando decise di incamminarsi verso il paese, distante dalla sua baita alcune ore di cammino nella neve .
Decise che quel giorno lo avrebbe trascorso insieme ad altra gente, e non importava chi fossero, non importava dove fossero, non importava null'altro che il suo bisogno di incontrare altri occhi, altre mani, altri volti, altre voci, altre vite.

Camminò a testa bassa, con le ginocchia affondate nel bianco gelato, con la forza di chi insegue un sogno.
Non sentì il vento che gli sferzava il viso, né la neve entrargli fino in fondo alle ossa, né la stanchezza piegargli la schiena.
Camminò, e camminò, e camminò.
Finché giunse alle prime case.

Vide da lontano le luci illuminare le finestrelle chiuse, sentì i primi odori di cibi cotti con amore e di legna ardente aleggiare nell'aria, le sue orecchie udirono i primi rumori che non fossero i suoi stessi passi nella neve croccante, e ricominciò a sorridere dentro.

A un angolo di strada trovò una locanda, la cui insegna si vedeva a malapena nella coltre di neve; vi entrò e si sedette ad un tavolo vicino al fuoco.
Si scrollò di dosso la stanchezza come fosse un cappotto, indossò un sorriso e ordinò il piatto del giorno.
Si sfregava le mani ancora intirizzite dal gelo che sembravano così sciogliersi pian piano, come fossero state anch'esse di ghiaccio, al contatto con l'aria calda e accogliente di quel piccolo locale, e iniziò a guardarsi intorno.

Ad un tavolo poco distante dal suo c'era una coppia che si teneva per mano, e parlava fitto fitto di chissà quale progetto, o anche semplicemente di quanto si amassero.
I loro sguardi si incrociavano, giocavano, parlavano con gli occhi, attraversavano il vetro dei bicchieri colmi di vino, mentre sorseggiavano e ridevano, e parlavano, e si sfioravano le mani, ed erano totalmente persi l'uno nell'altra.

Ad un altro tavolo c'era un uomo solo che leggeva il menù della casa, e sembrava dovesse decidere per la vita o per la morte, e non semplicemente per un pasto da consumare.
Aveva un viso grigio, avvizzito, e un sorriso come una ferita sul viso.

Al bancone della locanda c'era una ragazza che asciugava dei bicchieri appena usciti fumanti dalla lavastoviglie. La ragazza canticchiava tra sé e sé mentre lavorava, a bassa voce, eppure l'udito, abituato ormai al silenzio, percepiva chiaramente la lieve melodia stretta tra i denti.

Ad un altro tavolo c'era una famigliola composta di tre persone, il cui fulcro era la stupenda bambina dalle lunghe trecce bionde, dell'età di circa quattro anni, che era costantemente coccolata e aiutata nel conoscere le cose della vita dai suoi premurosi genitori, che stavano lì ad insegnarle come tagliare per la prima volta da sola la piccola salsiccetta che aveva nel piatto, o come sollevare bene il bicchiere senza versarne il contenuto.
Ogni tanto la forchetta o il coltello, strette tra le sue manine, scivolavano nel piatto e le sue risatine riempivano l'aria.
" Non ci iiesco, mamma. Me la vuoi taiiae tu, pee favoe?"
E la mamma le accompagnava la manina per farla sentire sicura che sarebbe riuscita a fare quello che credeva di non riuscire a compiere.

Era bastato vedere solo un po' di vita intorno a sé per ritrovare la serenità.
Guardare volti sconosciuti, provare ad immaginarne i pensieri, era sempre stato un gioco che amava fare durante l'adolescenza, quando al mattino si ritrovava nella folla di un autobus per andare a scuola, e trascorreva il suo tempo osservando gli altri viaggiatori.
C'era sempre qualcuno che attirava maggiormente la sua curiosità, per una particolare espressione del viso, o per  un particolare dell'abbigliamento che lasciava pensare a provenienze strane. Anche quel giorno si sentiva nuovamente come quando da adolescente spiava, da dietro lo zaino appoggiato in grembo, le persone intorno, e ne rubava con gli occhi un pezzettino di vita, disegnato nelle piccole rughe della fronte, o nei colori degli abiti scelti, o nei movimenti delle mani intrecciate. Sollevò il bicchiere ripensando ai vecchi tempi, assorbì il colore rubino del vino e, nel mentre avvicinava il bicchiere alla bocca, si vide nel riflesso bombato del vetro che stringeva tra le mani. Aveva sempre evitato di far incontrare i propri occhi con quelli degli altri, quando restava lì negli angolini in cui amava rintanarsi e dai quali amava osservare il mondo, e si rese conto di non guardarsi mai davvero allo specchio. Da quanto tempo non si guardava più? da quanto tempo non accarezzava le rughe agli angoli degli occhi o i piccoli segni ai lati della bocca? Da quanto tempo non provava a guardarsi negli occhi e scoprirne le piccole pagliuzze dorate in un lago profondo? a leggerne i pensieri? Forse non lo aveva mai fatto per davvero....e capì, lì a quel tavolo di quella locanda, davanti a quel fuoco scoppiettante, che la sua fuga nel piccolo angolo di paradiso, davanti a quel verde specchio d'acqua, forse era stato solo un modo per non voler ammettere, per non voler riconoscere, per non voler capire, una sola, piccola, grande verità: la sua non era stata una fuga dal mondo caotico del lavoro, ma una fuga da sé. Un brivido percorse la sua schiena, eppure non faceva freddo. Si guardò nuovamente nel riflesso del bicchiere, e lì, proprio tra le sue dita, vide il suo piccolo angolo di paradiso nel profondo blu dei suoi occhi.
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Chi è Manuela Rossa

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Manuela Rossa è un personaggio di fantasia, una sorta di "alter ego" di una donna che ha scoperto il potere dell'immaginazione e della scrittura per raccontarsi innanzitutto a sé stessa. I suoi scritti sono frutto di fantasia e non attingono che in modo marginale alla vita reale.

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